Ricorso  per  la  regione  Toscana, in persona del vice presidente
 della  giunta  regionale  (in  temporanea  assenza  del  Presidente),
 rappresentato  e  difeso  per  mandato  a  margine  del presente atto
 dall'avv. Alberto Predieri, e  presso  il  suo  studio  elettivamente
 domiciliato  in  Roma, via G. Carducci n. 4, contro il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
 costituzionale  del  d.l.  n.  272/1993 del 4 agosto 1993 pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1993.
    1. - In data 18 aprile 1993 il corpo elettorale veniva chiamato  a
 votare  sul  quesito "Volete che siano abrogati: - l'art. 1 del regio
 decreto 12 settembre 1929,  n.  1661  'trasformazione  del  Ministero
 dell'economia   nazionale   in  Ministero  dell'agricoltura  e  delle
 foreste; istituzione presso il  Ministero  dell'agricoltura  e  delle
 foreste  del  sottosegretario di Stato per l'applicazione delle leggi
 sulla bonifica  integrale;  istituzione  presso  il  Ministero  delle
 corporazioni  di  un  secondo  posto  di  sottosegretario  di  Stato,
 modificazione  della  denominazione  del  Ministero  della   pubblica
 istruzione  in  quella  di  Ministero  dell'educazione  nazionale,  e
 istituzione presso detto Ministero di un posto di sottosegretario  di
 Stato  per  l'educazione  fisica e giovanile' e - il regio decreto 27
 settembre  1929,  n.  1663,  'Ripartizione  dei  servizi,   gia'   di
 competenza  del  Ministero  dell'economia nazionale, fra il Ministero
 dell'agricoltura   e   delle   foreste   e   il    Ministero    delle
 corporazioni?'".
    2.  -  Il corpo elettorale, a maggioranza, accoglieva la proposta,
 votava per il si',  con  conseguente  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  (n.  176  del  5  giugno  1993) e abrogazione delle norme
 oggetto della decisione referendaria.
    3. - In data 4 agosto 1993  veniva  emanato  il  decreto-legge  n.
 272/1993  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale del 5 agosto 1993, n.
 182, con cui - in antitesi e in negazione della decisione popolare  -
 veniva  ripristinato  il  Ministero  che  in  forza  dell'abrogazione
 operata  dal  referendum  era  stato  soppresso  ed  eliminato,  come
 organizzazione e come centro di esercizio di funzioni amministrative,
 istituendosi  un  Ministero  per  il  coordinamento  delle  politiche
 agricole, alimentari e forestali, (art. 2) che altro non e' se non il
 Ministero soppresso,  al  quale  vengono  mantenute  quasi  tutte  le
 funzioni   che,   invece,   a   seguito   della   soppressione   sono
 automaticamente  trasferite  alle regioni nella loro interezza, e che
 ad esse vengono adesso sottratte con un atto che  si  pone  in  pieno
 contrasto   con  la  volonta'  popolare,  i  cui  effetti  e  il  cui
 significato   istituzionale   sono   inequivocabili   e   di    segno
 completamente   opposto,   e   vanno  nella  direzione  della  totale
 attuazione di un ordinamento regionale quale la Costituzione esige  e
 al quale l'ordinamento comunitario stimola.
    Tale  decreto  e'  illegittimo per violazione degli artt. 1, 3, 5,
 75, 95, 97, 117, 118, 119 della Costituzione.
    4. - Un sistema costituzionale non  puo'  introdurre  un  congegno
 eccezionale  come e' il referendum (istituto di democrazia diretta in
 un  sistema  che,  pur  con  le  correzioni,  resta   rappresentativo
 parlamentare,  che produce una risposta secca, puntuale, di scelta ad
 un'alternativa  altrettanto  secca,  che  ha  un  grande  significato
 politico-istituzionale, grandissimo nel nostro caso per l'inserimento
 in  un  contesto  di  altri  referendum  che  intendono esprimere una
 posizione politica innovatrice e diffusa); un sistema  costituzionale
 -  dicevamo - non puo' introdurre, dunque, un metodo di decisione che
 scavalca il Parlamento, per  arrivare  poi  con  un  decreto-legge  a
 ripristinare  lo statu quo ante, con qualche piccola modificazione di
 dettaglio, a pena  di  incoerenza  e  di  irragionevolezza  non  solo
 dell'atto   normativo   illegittimamente   restauratore  della  norma
 abrogata, ma dell'intero sistema costituzionale.
    Se questo e' sempre vero, lo e' tanto piu' nel nostro caso in  cui
 dietro  la scelta propria e netta espressa nell'alternativa si'-no vi
 era e vi e' una macroscelta nel processo formativo del referendum per
 la riforma dell'apparato statale, partito  questa  volta  all'interno
 della Repubblica dalle Regioni medesime, formulatrici della domanda e
 necessarie  beneficiarie  della  risposta  positiva al quesito, e una
 macroscelta del corpo elettorale, che  esprime  la  sua  volonta'  di
 svolta  nel  senso  istituzionale  della  regionalizzazione  e  della
 diminuzione del peso centralistico e la sua volonta', desumibile  dal
 contesto  dei  referendum  che tutti si muovono di pari passo, di una
 svolta politico-istituzionale.
    C'e', dunque, una scelta puntuale  su  un  quesito  che  pone  una
 opzione  inequivocabile  (come  attesta  la  Corte  nella sentenza di
 ammissibilita' del referendum) nel suo aspetto di decisione "tecnica"
 strumentale ad una macroscelta regionalista per l'impulso  e  per  il
 risultato e ad una macroscelta di politica generale.
    5.  -  L'accoglimento  del quesito refenderario ha, senza ombra di
 dubbio, l'effetto di abrogare le leggi indicate nel  quesito;  ma  ha
 anche  quello  di  impedire  che venga votata immediatamente dopo una
 legge del tutto analoga, addirittura identica a quella  abrogata.  Lo
 impongono   ragioni   di  coerenza  del  sistema  costituzionale  che
 comportano l'illegittimita' costituzionale di una legge  parlamentare
 che  abroghi  il  referendum  ripristinando,  in tutto o in parte, la
 normativa precedente. Si tratta di illegittimita' per le ragioni  in-
 dicate  piu'  volte dalla dottrina, non di semplice violazione di una
 regola di correttezza, come una parte minoritaria afferma.
    6. - La decisione popolare e' manifestazione della sovranita'  che
 spetta al popolo in forza dell'art. 1 della Costituzione; il referen-
 dum  e'  istituto  di legislazione popolare, atto legislativo o se si
 preferisce atto con forza di  legge  ordinaria  formalmente  imputato
 allo  Stato-persona,  tanto  che  e'  promulgato dal Presidente della
 Repubblica  come  una  comune  legge  ordinaria,  anche  se  ad  esso
 partecipa come  organo  esclusivo  di  deliberazione  il  popolo  (di
 promulgazione    parlano    V.   Crisafulli,   Lezioni   di   diritto
 costituzionale, Padova, II, 1984, p. 334; C. Lavagna, Istituzioni  di
 diritto  pubblico, Torino, 1982, p. 341: ma comunque vi e' unanimita'
 nel parlare di atto meramente dichiarativo, che dev'essere inquadrato
 nella cornice di una sostanziale decisione popolare).
   Nell'ambito dell'inquadramento normativo  del  referendum  si  puo'
 parlare  di  atto  di  legislazione  negativa,  come ritenere (con V.
 Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, II,  1,  1971,
 p.  88)  che il "si'" popolare alla abrogazione sarebbe un "frammento
 di norma" che viene a saldarsi al sistema normativo complessivo.
    Norma o frammento  di  norma,  l'atto  referendario  ha  l'effetto
 abrogante   di   una   norma   primaria,  che  abbiamo  detto  essere
 incontestabile, ma costituisce anche una manifestazione di sovranita'
 che  lo  pone  in  una  condizione  diversa  da  quella  di  un  atto
 legislativo  parlamentare,  tanto  che  il  parlamento  non  potrebbe
 legittimamente ripristinare la legge abrogata dal popolo (F. Cuocolo,
 Note introduttive sul referendum, in Studi XX  Ass.  Cost.,  Firenze,
 1969,  VI,  p.  170);  e, al momento, non e' necessario soffermarsi a
 vedere se cio' dipenda dal fatto che la  norma  o  il  "frammento  di
 norma",  in quanto di fonte popolare, avrebbe un grado superiore alla
 fonte parlamentare, oppure se si debba dire, forse meno radicalmente,
 ma con analoga conclusione di  illegittimita',  che  il  vizio  della
 legge  riprodotta  consisterebbe in un eccesso di potere legislativo,
 nel suo sviamento in frode della Costituzione, analogo a  quello  che
 inficia  una  legge che riproducesse una norma dichiarata illegittima
 dalla  Corte   costituzionale   (sull'argomento   A.   Manzella,   Il
 Parlamento,  Bologna,  1977,  p.  50);  oppure ancora se debba essere
 sottolineato che l'atto referendario abbia  effetto  legislativo  che
 puo' abrogare la legge primaria, ma che si pone, rispetto ad essa, in
 una posizione differenziata per il suo carattere di manifestazione di
 volonta',  che lo pone in posizione sovraordinata rispetto alla legge
 primaria.  Come  abbiamo  leggi  subprimarie  ancorche'  parlamentari
 (cioe'  quelle  che  necessariamente  debbono  porsi,  per ragioni di
 competenza, il parametro  delle  norme  comunitarie),  cosi'  abbiamo
 norme abrogative sopraprimarie in quanto manifestazione diretta della
 sovranita'  popolare,  che  si  pongono  come norme aventi l'identica
 forza formale delle leggi primarie, efficacia abrogante  della  norma
 primaria,  successiva  rispetto ad una norma primaria antecedente, ma
 si  pongono  anche  come  manifestazione  di  indirizzo   proveniente
 dall'organo  detentore  della  sovranita'  che condiziona l'eventuale
 legislazione di  adeguamento,  se  e  in  quanto  essa  possa  essere
 necessaria.
    Il  referendum  e'  una  manifestazione  diretta  della sovranita'
 popolare affermata  dall'art.  1  della  Costituzione  (S.  Galeotti,
 L'ultimo  ostacolo  all'operativita'  del  referendum  abrogativo, la
 determinazione della nuova data del referendum indetto e poi sospeso,
 in Studi in onore di G. Chiarelli, Milano, 1974,  II,  p.  1162)  che
 raggiunge  un  effetto  diretto  e  immediato  abrogativo,  quindi di
 normazione negativa del tutto  analoga  alle  sentenze  della  Corte,
 secondo  opinioni piu' volte espresse da Kelsen in poi. Il referendum
 e' certamente l'atto che esprime in  modo  piu'  sicuro  la  volonta'
 sovrana   del   popolo   e   che  deve  prevalere  per  un  principio
 organizzativo  essenziale  del  sistema  giuridicamente  rilevante  e
 quindi vincolante. Nel  contrasto  fra  la  volonta'  espressa  dalle
 camere  e la volonta' popolare espressa in una consultazione diretta,
 su  un  quesito  preciso  e  circoscritto,  non   v'e'   dubbio   che
 quest'ultima  corrisponde meglio all'orientamento del popolo e quindi
 esprime in  misura  piu'  intensa  il  potere  sovrano  (F.  Cuocolo,
 Istituzioni  di  diritto  pubblico,  Milano,  1990,  p. 271, il quale
 aggiunge che potrebbe anche dirsi che l'espressione popolare  diretta
 priva,  almeno  temporaneamente,  le  Camere  dello  stesso potere di
 decidere sull'argomento  gia'  deciso  dal  popolo).  Esse,  infatti,
 "rappresentano"  il  popolo  e,  pur tenendo conto della atipicita' e
 delle particolari caratteristiche della rappresentanza politica,  non
 sembra  dubbio  che il potere di agire in rappresentanza possa subire
 limitazioni   quando    lo    stesso    rappresentato,    con    atto
 costituzionalmente  corretto,  abbia  deciso  in  via  diretta  su un
 argomento che per cio' stesso resta sottratto alla  competenza  delle
 assemblee. Il che e' anche piu' evidente qualora si consideri il ref-
 erendum  come  strumento  di  controllo  e  di  garanzia, non potendo
 certamente ammettersi che le camere abbiano il potere di frustrare la
 decisione popolare che abbia abrogato, e cioe' disvoluto,  attraverso
 uno   strumento  di  controllo  costituzionale,  una  legge  da  esse
 approvata.  La  forza  e  la  giustificazione  della   rappresentanza
 politica  si  fondano pur sempre su una presunzione di corrispondenza
 fra la volonta' del popolo-rappresentato e  quella  delle  assemblee-
 rappresentanti  e tale presunzione, di massima, trova la sua verifica
 in occasione del rinnovo delle assemblee.  Ma  il  referendum  supera
 tale   presunzione   ed   accerta   in  concreto,  su  una  questione
 particolare, se la  corrispondenza  gia'  presunta  esiste  o  no  e,
 qualora  tale  accertamento dia risultato negativo, non solo la legge
 e' abrogata, ma viene a mancare nelle camere (e a maggior ragione nel
 Governo, con lo strumento della  decretazione  d'urgenza)  lo  stesso
 potere di procedere a un mutamento della situazione creata dal refer-
 endum.
    La  manifestazione  di  abrogazione  diretta porta alla necessaria
 prevalenza e supremazia delle manifestazioni di democrazia diretta su
 tutte le altre, tali da rendere omogenee nella natura le due  diverse
 figure di referendum previste dagli artt. 75 e 138 della Costituzione
 (v. su quest'ultimo punto, Galeotti, Esigenze e problemi del referen-
 dum,  in  Iustitia,  Milano, 1970, 282 ss.; F. Modugno, L'invalidita'
 della legge, Milano, 1970, II, p. 120): con la conseguenza  che,  per
 non  eludere  il  significato  e  l'efficacia propria dell'intervento
 popolare, dovra' ammettersi il controllo di  costituzionalita'  della
 legge  che  miri,  in seguito al referendum, in una forma piu' o meno
 esplicita, a ripristinare come se nulla fosse accaduto, la situazione
 antecedente (Modugno, il quale  aggiunge  che  il  confronto  tra  il
 contenuto del referendum abrogativo, rectius della normativa abrogata
 con  il  referendum,  e  il contenuto della legge successiva induce a
 ravvisare quindi, quodammodo,  in  quell'atto,  o  fatto,  il  valore
 costituzionale).
    Con  altre  parole,  un  atto  o  frammento di atto inserito in un
 subsistema o fenomeno normativo (senza  scendere  per  il  momento  a
 precisazioni  che  dobbiamo  rinviare  alla  successiva  memoria) che
 proviene da un produttore di norme qual'e' il popolo detentore  della
 sovranita',   dev'essere   collocato   nel   suo   rango   superiore,
 sovraprimario.
    Le  norme sulla produzione vengono a collocarsi nel nostro sistema
 costituzionale in attuazione di un principio per cui  ogni  norma  od
 atto  andranno  messi  in  posizione superiore ad altra norma od atto
 tanto piu' se nell'organo che lo produce e' manifesta  la  sovranita'
 popolare  o  e'  piu'  vicino  il  collegamento col popolo; cosicche'
 quando la gerarchia non venga determinata dall'ordinamento  e  quando
 esso   non   ponga   regole  di  equiordinazione  in  relazione  alla
 competenza,  dal  momento  che  la  gerarchia  e'  una   connotazione
 indispensabile,  essa va individuata, nei casi dubbi, con riferimento
 ai gradi di derivazione dell'organo (o subsistema)  produttore  della
 norma,   dal  popolo,  posto  in  posizione  di  sovranita',  con  la
 conseguenza che l'atto normativo direttamente  posto  dalla  volonta'
 popolare deve collocarsi nel rango piu' elevato.
    7.  -  Come  dicevamo,  incontestabile effetto dell'atto normativo
 referendario  e'  l'abrogazione.   Se   il   referendum   costituisce
 abrogazione totale delle norme oggetto del quesito ne deriva un vuoto
 normativo,  che  e'  analogo a quello che deriva dalla sentenza della
 Corte.
    Il parallelismo fra l'effetto normativo di  legislazione  negativa
 (per  usare la formula di Kelsen) delle sentenze della Corte e quello
 della decisione referendaria e' evidente.
    Il referendum ha una  logica  binaria  si'-no,  quindi  abroga-non
 abroga;  la logica e' uguale a quella della Corte si'-no, annulla-non
 annulla. Ma come l'effetto della logica binaria della Corte  porta  a
 necessita'  di  adeguamenti  per  superare l'intrusione del vuoto nel
 tessuto normativo, altrettanto avviene  o  puo'  avvenire  quando  il
 vuoto  normativo  e'  opera  dell'atto  referendario, particolarmente
 perche' il referendum abrogativo accolto dalla nostra costituzione e'
 un istituto inserito nella democrazia  rappresentativa  che  in  essa
 viene   e  deve  essere  metabolizzato  nella  accezione  dottrinale-
 culturale e operativa, che con essa  convive  e  la  integra  con  un
 sistema  politico  nel  quale il demos decide direttamente le singole
 questioni non piu' assieme  ma  separatamente  e  in  solitudine  (G.
 Sartori,  Che  cosa e' la democrazia, Milano, 1993, p. 84), ma in cui
 il tessuto normativo resta di produzione parlamentare.
    Puo'  darsi,  quindi,  che  vi  possano   essere   necessita'   di
 adeguamento  della  normazione residua alla decisione popolare, cosi'
 come possono esservi alla decisione della Corte. Ma e' la  decisione,
 del popolo, o della Corte, che condiziona e conforma lo spazio che il
 legislatore  parlamentare  puo'  utilizzare  per  suturare  il  nuovo
 ordinamento   basato   sull'abrogazione,   il   vuoto   cioe',    con
 l'ordinamento  residuale;  quindi,  in  tanto  vi  e'  un  potere  di
 adeguamento e di sutura, in quanto esso sia utilizzato in modo da non
 alterare la decisione di rimozione o di soppressione del preesistente
 e da limitare l'intervento del legislatore al minimo  indispensabile,
 rispettando  la scelta di fondo dell'organo che e' posto in posizione
 funzionalmente sovraordinata (almento in questo caso) al  Parlamento.
 Quest'ultimo  (e  a fortiori il Governo con lo strumento del decreto-
 legge)  non  puo'  muoversi  in  totale  liberta',  ripristinando  la
 normativa  e  gli  effetti della normativa abrogata e deve seguire le
 indicazioni della sentenza della Corte  e  della  volonta'  popolare,
 attenendosi   a   quanto   proviene   dalla   sentenza   e  dall'atto
 referendario. Evidentemente, nel primo caso, le  sfumature  ricche  e
 variabili  della  sentenza potranno fornire una guida che la poverta'
 semantica del si'-no referendario non puo' fornire. Ma proprio questa
 rigidita' impone di considerare eccezionale la deroga al vuoto creato
 e limitatissime la facolta' di sutura.
    8.- Nel nostro caso, il decreto-legge non ha tenuto  nessun  conto
 delle   norme   e  del  sistema  costituzionali,  e  ha  ripristinato
 piattamente il Ministero abolito, con tutte le sue funzioni, ad  onta
 di  una  dichiarazione  contenuta  nell'art.  1,  ma smentita in modo
 globale dalle norme degli articoli successivi.
    9. - Lo scopo del referendum e il suo risultato sono molto chiari,
 come risulta dal suo iter.  Esso  infatti  e'  stato  proposto  dalle
 regioni,  come  soggetti che intendevano raggiungere l'abolizione del
 Ministero per avere  l'attribuzione  di  competenze,  come  e'  stato
 adeguatamente  posto in risalto nelle memorie depositate dai delegati
 dei consigli regionali del Veneto, della Valle d'Aosta, del  Piemonte
 e  delle  Marche  (punto  3  in fatto alla sentenza 26/1993), i quali
 hanno rilevato la necessita' nel ricorso al referendum abrogativo per
 realizzare la soppressione del  Ministero  e  gli  adeguamenti  della
 struttura   e   dei   servizi  alla  mutata  situazione  per  effetto
 dell'avvenuto decentramento di servizi ministeriali, soprattutto  per
 effetto    dell'attuazione    dell'ordinamento    regionale   e   del
 trasferimento o della delega alle regioni della massima  parte  delle
 competenze ministeriali.
    La  ratio  e'  dunque  quella  dell'abolizione  del  ministero per
 completare il trasferimento  alle  regioni  delle  funzioni  relative
 all'agricoltura, intesa nel senso determinato dal d.P.R. n. 616 e dai
 testi comunitari. Come e' stato puntualmente deciso dalla Corte nella
 sentenza  per  il referendum gemello sul Ministero del turismo (sent.
 n. 35/1993) non puo'  revocarsi  in  dubbio  la  circostanza  che  il
 quesito, essendo volto alla abrogazione della stessa legge istitutiva
 del Ministero, propone, quale unica e puntuale alternativa, quella di
 sopprimere   ovvero   mantenere   l'organismo  ministeriale  nel  suo
 complesso.
   Dice ancora la sentenza della Corte che "neppure e' a dirsi che  il
 referendum  di cui si giudica l'ammissibilita' rinvenga a tal fine un
 qualche ostacolo alla luce dei principi che  questa  Corte  ha  avuto
 modo  di  affermare  in  tema di leggi a contenuto costituzionalmente
 vincolato od obbligatorio, considerato che, nella specie, il  quesito
 propone  quale  oggetto del voto popolare non un organo o un istituto
 la cui esistemza e' presupposta dalla Costituzione o che  puo'  dirsi
 coessenziale  alla  struttura  ed  al  funzionamento  del Governo, ma
 unicamente  il  mantenimento  ovvero  la  soppressione  dell'apparato
 burocratico-amministrativo  che  il  legislatore ha discrezionalmente
 ritenuto di far assurgere al rango di ministero, cosi' limitandosi  a
 dare  attuazione  alla  riserva  legislativa  enunciata dall'art. 95,
 terzo comma, della Costituzione".
    E'  ben  vero   che,   quelli   sul   turismo   e   spettacolo   e
 sull'agricoltura  sono due referendum separati: ma hanno pero' stessi
 caratteri e nella sostanza lo stesso oggetto, cioe'  la  soppressione
 si un Ministero.
    Sicche',  le  finalita'  dei  promotori possono avere attuazione e
 l'elettore chiamato  a  pronunziarsi  sul  quesito  non  puo'  essere
 minimamente fuorviato.
    10. - La regola della sparizione dall'ordinamento voluta dal corpo
 elettorale  in  esito  al  referendum puo' trovare deroghe, nel senso
 che, fermo il risultato di fondo, possono essere introdotte  limitate
 eccezioni  alla  scomparsa  totale della normativa con il conseguente
 vuoto; puo' ammettersi che esso, in parte, possa essere colmato da un
 intervento del legislatore. La nuova legge dev'essere pero'  limitata
 al minimo indispensabile.
    La  scelta  puntuale  e univoca del modello di organizzazione e di
 distribuzione delle funzioni con l'abolizione del Ministero, comporta
 che  esso  deve  sparire  come  organizzazione  strutturale  e   come
 strumento per l'esercizio delle funzioni.
    Dove  le  funzioni,  dalla  legge  antecedente, sono suddivise fra
 Ministero e regioni, la scelta del  corpo  elettorale  comporta  che,
 automaticamente  rimosso  il  ministero,  tutte  le  funzioni debbano
 essere esercitate dalle regioni, cioe' dai  singoli  soggetti  ognuno
 nel   proprio   ambito   territoriale,  ad  eccezione  di  quelle  di
 coordinamento   generale    della    programmazione,    nonche'    di
 rappresentanza   unitaria   degli   interessi   italiani  nelle  sedi
 comunitarie ed  internazionali,  che  ontologicamente  assicurano  la
 coordinazione di un esercizio pluralistico.
    Non vi e' quindi uno spazio per funzioni e organizzazioni unitarie
 affidate al ministero al di fuori di quelle indicate. Ne consegue che
 e'  illegittima  e  irrazionale  la  previsione  del  mantenimento di
 strutture quali  Aima,  cassa  per  la  formazione  della  proprieta'
 contadina, Istituto nazionale nutrizione, Unire, Ense, Ente nazionale
 risi, Agecontrol S.p.a., Ribs S.p.a., Ente irrigazione Val di Chiana,
 Ismea, Enea ecc.; in particolare, per quanto concerne l'Aima, occorre
 rilevare  che  gli  interventi  comunitari sono sempre piu' diretti a
 costituire integrazione di reddito e quindi sono di tipo strutturale;
 conseguentemente essi sono gia'  di  competenza  regionale  ancorche'
 finanziati dalla sezione garanzia. Non diversamente, e' irragionevole
 il  mantenimento  a  livello  nazionale (che per essere esatti e' una
 illegittima   reviviscenza)   del    Corpo    forestale,    la    cui
 regionalizzazione  e'  strettamente  funzionale  alla  gestione delle
 foreste ed alla tutela dell'ambiente di stretta competenza regionale,
 anche alla luce delle positive esperienze  delle  regioni  a  statuto
 sociale.  Per  le  quali  puo'  essere  dato il supporto di strutture
 organizzative collocate nell'apparato  che  per  costituzione  e  per
 legge  e'  a  cio' predisposto, cioe' la Presidenza del Consiglio ove
 ben puo' essere costituito  un  "Dipartimento  per  il  coordinamento
 delle politiche agroalimentari".
    Al  Governo  spettano  altresi' i poteri sostitutivi, perche' esso
 dovra' altresi' garantire il rispetto degli impegni  contratti  dallo
 Stato  globalmente  inteso  a  livello comunitario ed internazionale,
 attraverso  eventuali  interventi  sostitutivi  in  caso  di  singoli
 inadempimenti  regionali;  le  regioni  -  al  fine  di dare maggiore
 efficacia e concretezza all'azione  italiana  nelle  sedi  europee  -
 avranno titolo a partecipare alla formazione degli atti comunitari.
    11.  -  Il  decreto-legge, viceversa, ha ricostituito pari pari il
 ministero soppresso, con un modesto maquillage di mediocre lega.
    Infatti il  decreto-legge  n.  272/1993,  denunciato  alla  Corte,
 restaura   il   Ministero   agricoltura   e  foreste  cambiando  solo
 l'etichetta, in modo tautologico: il  Ministero  agricoltura  foreste
 diventa  Ministero  per  il  coordinamento  delle politiche agricole,
 alimentari  e forestali, cioe' essendo oggi il Ministero (come lo era
 il  Ministero  agricoltura  e  foreste)  un  organo  di  indirizzo  e
 coordinamento,   viene   ricostruito   lo   stesso  organismo,  tanto
 nell'ottica funzionale quanto in quella strutturale del  mantenimento
 delle  vecchie  strutture  palesemente inefficenti e inadeguate anche
 rispetto  alle  modificazioni  dell'apparato  di   indirizzo   e   di
 coordinamento della Presidenza del Consiglio istituito con la legge.
    Cio' aveva portato la conferenza dei presidenti delle regioni, nel
 suo documento 6 maggio 1993, ad affermare che al momento la soluzione
 organizzativa  ottimale  era  quella  dell'istituzione di un apposito
 dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, facente capo  ad  un
 Ministro.  Giustamente la stessa conferenza ricordava che il referen-
 dum abrogativo e' stato la  conseguenza  della  mancata  riforma  del
 Ministero   da   tempo   richiesta   anche   dalle   regioni;   della
 regionalizzazione soltanto parziale avvenuta con il d.P.R. n. 11/1972
 e poi con il d.P.R. n. 616/1977; del continuo recupero di  competenze
 ministeriali  avvenuto  con  la legislazione successiva nonostante le
 frequenti pronuncie della Corte costituzionale;  della  tendenza  del
 Ministero  a  porsi  come soggetto sovraordinato alle regioni e della
 sua  incapacita'  a  svolgere  invece  una  effettiva   funzione   di
 programmazione,  di  coordinamento,  di  tutela e garanzia nelle sedi
 comunitarie; del suo  progressivo  assorbimento  di  sempre  maggiori
 risorse  finanziarie di spettanza, invece, delle regioni. Non ultimo,
 della sua  incapacita'  di  adattarsi  al  progressivo  mutare  degli
 scenari  internazionali e nazionali della produzione agricola, sempre
 piu'  tendente  alla  globalita'  del  settore   agro-industriale   e
 alimentare,  ed  alla evoluzione dell'ordinamento comunitario. Ormai,
 la programmazione del settore ha superato il  livello  nazionale;  le
 grandi  opzioni  produttive  e  di  mercato  sono  decise  a  livello
 comunitario, mentre la loro attuazione avviene sempre piu' -  secondo
 gli  orientamenti  comunitari - a livello di politiche regionali. Nel
 nostro ordinamento, non  ha  piu'  senso  un  Ministero  burocratico,
 incapace  di coordinare, ma teso a gestire spesso in contrapposizione
 alle  regioni.  Ad   esse   devono   spettare   tutte   le   funzioni
 amministrative  che  attengono  al  proprio  territorio;  allo Stato,
 invece,  devono  essere  attribuite  esclusivamente  le  funzioni  di
 fissazione  dei  principi  generali,  il  coordinamento generale e la
 rappresentanza  in  sede   comunitaria   ed   internazionale;   detta
 rappresentanza  deve,  peraltro,  avvenire  in accordo stretto con le
 regioni; a queste ultime deve essere  consentito  di  avere  rapporti
 diretti  con  le  istituzioni  comunitarie.  Le  regioni devono poter
 attuare direttamente le normative comunitarie.
    12. -  Il  Ministero  che  e'  stato  abolito,  in  realta'  viene
 addirittura  potenziato dall'art. 2, quarto comma, che trasferisce al
 nuovo Ministero le competenze in materia di pesca  e  in  materia  di
 produzione  dei  prodotti  elencati  nell'allegato II del trattato di
 Roma.
    13. - Orbene, e' chiara l'illegittimita' di un atto normativo  che
 nella  sostanza riproduce l'atto rimosso dalla decisione popolare. Ed
 e' alla sostanza della riproduzione in atto normativo successivo  del
 contenuto  dell'atto  precedente,  eliminato dall'ordinamento, che si
 deve state attenti, dice la Corte nella sentenza n. 223/1983 (punto 4
 in   diritto)   a   proposito   della   reiterazione   delle    norme
 sull'indennizzo  espropriato dichiarate illegittime dalla Corte, vale
 a dire in un caso di cui abbiamo posto in  evidenza  il  parallelismo
 che  intercorre fra il vuoto creato dalla Corte e quello creato dalla
 decisione popolare.
    14. -  E'  chiara  questa  illegittimita'  per  le  considerazioni
 svolte;  alle quali vanno aggiunte quelle sull'irragionevolezza della
 norma nella duplice visuale della  normativa  in  se'  considerata  e
 della  parametrazione della normativa in relazione all'atto normativo
 referendario.  Invero,  la  ragionevolezza  dev'essere  valutata   in
 relazione   alla  ratio  dell'atto  normativo  popolare  con  effetto
 negativo ma con valenze indicative, dato che la ratio consisteva  nel
 decretamento  dei  poteri  sino  al punto dell'abolizione dell'intera
 struttura; e, contemporaneamente, la ragionevolezza di una  norma  di
 adempimento  a seguito di abrogazione dev'essere riportata alla ratio
 dell'abrogazione, non puntuale  ma  di  istituzione  o  di  complesso
 organizzatorio,   dal  momento  che  non  puo'  essere  accettato  il
 principio che nulla segue all'abrogazione, in quanto vi  deve  essere
 invece un adeguamento conforme alla ratio abrogatrice.
    Nel   nostro   caso,  ad  una  abrogazione  volta  a  decrementare
 l'apparato centrale e incrementare gli apparati regionali (che ha  in
 significato    di    abolizione   dell'organizzazione   del   modello
 ministeriale e delle sue competenze), al trasferimento conseguenziale
 delle competenze, alla necessita' di dare spazio  ad  un  adeguamento
 limitato   al  minimo  indispensabile,  secondo  criteri  di  stretta
 economia, non si e' risposto  in  modo  ragionevole,  perche'  si  e'
 mantenuto  in vita cio' che e' abrogato, e lo si e' mantenuto in modo
 incongruo ed irragionevole.
    15. - Ulteriore manifestazione di irragionevolezza e'  la  diversa
 risposta   data   ai   due   quesiti  sull'abolizione  del  Ministero
 dell'agricoltura  e  di  quello  del  turismo;  per  quanto  riguarda
 l'abbandono  del  modello  ministeriale  in  un  caso  viene data una
 risposta che elimina il Ministero, mentre, nell'altro, viene data una
 risposta opposta con il mantenimento del  Ministero,  con  cambio  di
 denominazione e poco piu'.
    16.  -  E'  insegnamento  ripetuto  della Corte che sia pienamente
 ipotizzabile il sindacato di quest'ultima relativamente agli  effetti
 normativi costituzionalmente illegittimi verificatisi in seguito alla
 pronuncia  referendaria abrogativa (Corte costituzionale, 22 dicembre
 1975, n. 251, in Giur. cost., 1975, I, 2895 ss.; 13 febbraio 1981, n.
 24, ivi, 123, 13 febbraio 1981, n. 26,  ivi,  134;  e  di  recente  3
 febbraio 1987, n. 26, in Foro it., 1987, 664 ss.).
    17. - Cio' e' pienamente rispondente alle esigenze di coerenza che
 impongono  un intervento della Corte anche in funzione integrativa in
 una materia notoriamente regolata in modo frammentario. Sappiamo come
 la dottrina si sia  domandata  se  quando  la  Corte,  per  giudicare
 l'ammissibilita'  di un referendum abrogativo, esamina in modo piu' o
 meno  ampio   le   conseguenze   normative   che   si   produrrebbero
 nell'ordinamento vigente ove fosse approvata dal popolo la richiesta,
 formula  un  giudizio  di  ammissibilita'  o valuta la ragionevolezza
 degli effetti, che risulterebbero introdotti dal referendum  in  caso
 di  approvazione popolare, rispondendo che e' difficile sostenere che
 non faccia la seconda delle cose dette. Gli studiosi  hanno  risposto
 che  la Corte costituzionale e' costretta, con i suoi limitati mezzi,
 a porre argini ad una legislazione di attuazione dell'art.  75  della
 Costituzione   estremamente   lacunosa,   superficiale  e  totalmente
 improvvida nella valutazione dell'effettivo  operare  del  referendum
 abrogativo.  Se  un'esigenza  di coerenza del sistema ha imposto alla
 Corte di provvedere al colmare le lacune del legislatore  nella  fase
 antecedente,  e' ovvio che le stesse esigenze comportino che la Corte
 debba intervenire, nella  fase  dell'adeguamento  e  dell'attuazione,
 cioe' dell'effettivo operare dell'effetto.
    18.  - In conclusione, il decreto di istituzione del Ministero per
 il coordinamento delle politiche  agricole,  alimentari  e  forestali
 (che in realta' e' solo la ricostituzione del Ministero soppresso) e'
 illegittimo: alla illegittimita' del mantenimento del Ministero o del
 Ministro  consegue  l'illegittimita'  di  tutte  le  norme  contenute
 nell'art. 1 inciso "con l'esclusione di quelle di cui agli artt. 2  e
 3"  del primo comma; nei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto,
 sesto dell'art. 3; nei commi primo, secondo, terzo, quarto  dell'art.
 4; nei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto dell'art. 5.